Seconda parte della nostra intervista con Alex Zanardi, fondatore di Bimbingamba. Dopo aver parlato della nascita della Onlus, ci concentriamo sull’attualità.
Come sta procedendo il progetto?
«Ad oggi sono più di 200 i bambini che abbiamo trattato e penso che questo sia il risultato più grande», spiega Zanardi. «Sicuramente si potrebbe fare meglio, il nostro rimane un progetto piccolo, che non ha la pretesa di risolvere la totalità del problema, ma di poter incidere veramente sulla vita dei bambini che trattiamo. Purtroppo allargare ulteriormente il progetto richiederebbe una grande quantità di risorse, oltre a dover rivedere l’intera struttura. Ho sempre pensato che è meglio fare una cosa nel piccolo ma farla bene piuttosto che puntare da subito ad allargarsi, anche a scapito dell’efficacia di ciò che fai».
È questo il caso di Bimbingamba?
«Sì, credo che abbiamo quasi raggiunto il limite per i mezzi di cui disponiamo in questo momento. Sono davvero molto soddisfatto perché tutti i volontari che vi partecipano lavorano con grande competenza e passione, dimostrando come anche con strumenti limitati si possano raggiungere risultati importanti. La nostra azione, d’altronde, non si risolve nel fornire le protesi, ma segue con costanza la crescita del piccolo paziente, adattando le cure allo sviluppo del suo corpo fino al compimento dei 18 anni. Ciò vuol dire andare al di là dell’approccio medico e coltivare un rapporto di affetto e di fiducia che dura nel tempo. Penso che grazie all’entusiasmo di entrambe le “parti” siamo riusciti a fare anche questo».
Quali sono le soddisfazioni maggiori che ha ricevuto?
«Se guardo a quello che abbiamo fatto le soddisfazioni sono sicuramente molte, ma la gratificazione più grande rimane quella di aiutare i bambini a riacquistare il proprio sorriso. Penso ad esempio a una bambina moldava, Ana Maria, che qualche anno fa ha ricevuto una protesi dell’arto superiore dalla nostra Onlus. Mi ricordo che quando è arrivata da noi aveva uno sguardo spento, che a stento riusciva ad alzare per guardare in faccia le persone, qualcosa con non vorresti mai vedere sul volto di una bambina. Quando ho incontrato Ana Maria dopo il trattamento, l’entusiasmo e la felicità che aveva ritrovato mi ha sinceramente sorpreso, ricordandomi come i bambini, rispetto agli adulti, siano davvero più preparati ad affrontare qualsiasi forma di riscatto, anche rispetto a queste tragedie. Avere un ruolo in tutto questo è per me la soddisfazione più grande». (continua..)